Pensione per sordomuti: avere appreso il linguaggio non ne esclude il diritto

pensione per sordomuti

Con la sentenza n. 22290 del 21 ottobre 2014 la Corte di Cassazione è intervenuta in tema di pensione per sordomuti, sancendo il principio secondo cui l’aver appreso il linguaggio non esclude il diritto alla pensione, sempre che tale apprendimento sia intervenuto dopo il 12° anno di età.

La normativa prevede a favore dei minorati sensoriali dell’udito affetti da sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva (cosiddetti sordomuti perlinguali)  il diritto alla pensione non reversibile per sordomuti quando tale condizione patologica abbia impedito il normale apprendimento nel linguaggio parlato. Rimane invece assolutamente irrilevante il fatto che tale apprendimento sia stato raggiunto al momento della proposizione della domanda, ove essa sia successiva al compimento del dodicesimo anno d’età.

La sentenza trae origine dal ricorso presentato da Tizio con cui chiedeva che gli venisse riconosciuto lo stato di sordomutismo con le conseguenti provvidenze economiche. Il Giudice adito, con sentenza, rigettava il ricorso sulla scorta della espletata CTU, ritenendo che il ricorrente, anche se affetto da grave sordità, rientrasse nella categoria degli invalidi civili e non in quella dei sordomuti. Avverso tale sentenza Tizio proponeva appello, ma la Corte territoriale rilevava che nel caso di specie, pur essendo lo stato di patologia uditiva intervenuto prima del dodicesimo anno di età, non si era verificata la seconda condizione,ossia che l’ipoacusia avesse reso difficoltoso il normale apprendimento del linguaggio parlato, avendo Tizio, all’età di insorgenza della patologia uditiva, già acquisito adeguatamente il linguaggio parlato, come confermato dalla mancanza di dislalia audiogena.

Avverso la sentenza della Corte d’appello Tizio proponeva ricorso in Cassazione denunciando che “quando la patologia uditiva sorge nella fase evolutiva e di apprendimento del linguaggio, si ha un fenomeno di sordomutismo che rende difficoltoso il normale apprendimento del linguaggio parlato al quale è possibile porre rimedio solo intervenendo con sussidi e sostegni e non per normale evoluzione naturale”. Rilevava ancora che la grave ipoacusia bilaterale era insorta in età evolutiva, ossia prima dei 12 anni, che il livello uditivo era peggiore della soglia richiesta, che per riuscire ad esprimersi aveva dovuto fare ricorso a servizio di logopedia da istituti specializzati per la sordità durante la vita scolastica, che doveva tuttora portare la protesi, che usava la lettura labiale; conseguentemente è evidente che nel suo caso la minorazione dell’udito ha impedito “il normale apprendimento del linguaggio” ovvero ha “reso difficoltoso il suo apprendimento”.

La Cassazione ha ribadito che “in tema di benefici riconosciuti ai minorati sensoriali dell’udito affetti da sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva, cosiddetti sordomuti prelinguali, l’art. 1 della legge 26 giugno 1970, n. 381 che prevede il diritto all’assegno d’assistenza, successivamente trasformato in pensione non reversibile per sordomuti dall’art. 14 septies del D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, convertito in legge 29 febbraio 1980, n. 33, va interpretato nel senso che fatto costitutivo del diritto è la sordità congenita o acquisita in età evolutiva che abbia impedito, al menomato sensoriale dell’udito, il normale apprendimento del linguaggio parlato, mentre rimane irrilevante che tale apprendimento sia stato conseguito al momento della proposizione della domanda, proposta dopo il compimento del dodicesimo anno d’età (termine conclusivo dell’età evolutiva identificato con la tabella introdotta con decreto del Ministero della sanità 5 febbraio 1992)” (v. Cass. n. 9887 del 2005 cit.).

Ha poi chiarito che la prima condizione richiesta dalla norma è dunque quella che vi sia una minorazione dell’udito, ossia che il funzionamento dell’apparato uditivo sia inferiore a quello normale.  Quanto alla seconda condizione, il tenore letterale della disposizione fa riferimento all’esistenza di una sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva, sicchè la pensione per sordomuti non compete quando la sordità venga contratta dopo il compimento dei dodici anni. Ciò si spiega considerando che la sordità insorta dopo l’età evolutiva non può incidere sull’apprendimento del linguaggio parlato, perché detto apprendimento era già stato compiuto nei primi anni di età. Pertanto, contrariamente a quanto in genere è previsto per le prestazioni collegate all’invalidità, per le quali rileva lo stato del soggetto interessato al momento della domanda (ovvero anche nel corso del procedimento amministrativo e giudiziario ), la disposizione in esame ha riguardo a quanto è avvenuto nel passato, perché il fatto costitutivo del diritto è che la sordità, essendo stata contratta prima dell’apprendimento del linguaggio, ha impedito di acquisirlo secondo il processo normale.

In altri termini, il riferimento alla fase di apprendimento del linguaggio sta a significare che occorre avere riguardo ad un fatto pregresso, mentre sarebbe incongruo richiedere al soggetto adulto che inoltra la domanda, la persistenza della difficoltà nella fase di apprendimento del linguaggio parlato, perché questa fase per l’adulto è ormai definitivamente terminata!

La prestazione pertanto spetta in tutti i casi in cui detto processo di apprendimento, a causa della minorazione, non abbia seguito il suo normale svolgimento, ancorché al momento della domanda di prestazione si constati l’avvenuta acquisizione di una utile capacità di comunicazione verbale.

Al contrario di quanto sancito dalla Cassazion, la Corte d’appello aveva ritenuto sufficiente ad escludere la sussistenza della fattispecie legale la considerazione che Tizio al momento della c.t.u. sostenesse in maniera sufficientemente comprensibile una conversazione a sfondo compiuto e critico, anche senza ausili protesici; da ciò la Corte d’appello aveva ricavato che “all’età di insorgenza della patologia uditiva il bambino (aveva) acquisito adeguatamente il linguaggio parlato”, di guisa che nella specie non poteva parlarsi di “dislalia audiogena”.

Ma tale considerazione di base, secondo la Cassazione è del tutto irrilevante, dovendosi avere riguardo non al momento della presentazione della domanda volta ad ottenere il riconoscimento della sordità ma, al contrario, al momento del “normale apprendimento del linguaggio parlato fino al compimento del dodicesimo anno di vita”.

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