
La Corte costituzionale dovrà pronunciarsi sulla legittimità della misura della pensione di inabilità civile per gli invalidi civili totali, nonché sul mancato riconoscimento dell’incremento della maggiorazione sociale (c.d. “incremento al milione” – Legge 448/2001) nei confronti degli stessi invalidi con età inferiore a 60 anni.
E’ quanto ha stabilito la Corte d’Appello di Torino mediante l’ordinanza n. 240 del 3 giugno 2019 che mette, dunque, in discussione la misura delle pensioni spettanti agli invalidi civili totali, insufficienti per garantire un sostegno adeguato e non più in linea con le esigenze di vita.
Il caso
La Corte d’Appello era stata chiamata in causa contro la mancata concessione da parte dell’Inps dell’incremento della maggiorazione sociale di cui all’articolo 38 della legge 448/2011 nei confronti di una 47enne, invalida civile al 100%, già titolare di pensione di invalidità civile (L. 118/71, art. 12) e di indennità di accompagnamento (legge n. 18/1980, art. 1). L’interessata lamentava l’inadeguatezza della misura della pensione di inabilità civile (286,66 euro mensili + l’integrazione di 10,33 euro di cui all’art. 70, comma 6, legge n. 388/2000) per consentire la conduzione di una esistenza dignitosa considerando che la stessa non poteva, per le condizioni di salute, prestare alcuna forma di attività lavorativa. Aveva, peraltro, chiesto l’erogazione della maggiorazione di cui all’articolo 38, co. 4 della legge 448/2001 (il cd. incremento al milione) spettante però, fra l’altro, solo ai cittadini invalidi civili totali aventi età pari o superiore a sessanta anni. Il riconoscimento della maggiorazione avrebbe portato la pensione sino a 638 euro mensili circa, oltre l’indennità di accompagnamento, permettendo all’invalida di raggiungere quel minimo vitale per soddisfare le proprie esigenze economiche.
La posizione della Corte
I giudici non potendo biasimare la condotta dell’Inps poiché tenuta in applicazione alle norme di legge, hanno però riconosciuto due elementi di incostituzionalità.
Il primo elemento attiene la misura della pensione di invalidità civile ritenuta insufficiente “ per comune esperienza, a garantire all’invalido il soddisfacimento dei più elementari bisogni della vita, come alimentarsi, vestirsi e reperire un’abitazione”. A sostegno di ciò i giudici fanno riferimento a diverse pronunce della Cassazione in cui il minimo vitale è stato fissato in misura superiore a € 285. Tra l’altro lo stesso assegno sociale che può essere un parametro di riferimento per i normodotati, è fissato in misura più favorevole rispetto alla pensione di inabilità civile.
Inoltre, nella valutazione dell’idoneità della misura della pensione di invalidità civile i giudici rimarcano come non possa includersi l’indennità di accompagnamento poiché essa risponde a “finalità diverse da quella che presiede all’erogazione della pensione di inabilità, diretta invece a garantire al soggetto totalmente inabile al lavoro privo di mezzi sufficienti il necessario per far fronte alle spese indispensabili al proprio mantenimento”.
Dunque, la misura irrisoria della pensione di inabilità civile risulterebbe in contrasto con l’art. 38, comma 1, della Costituzione che sancisce il diritto di “ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere … al mantenimento e all’assistenza sociale”.
Il secondo elemento di incostituzionalità riguarda l’articolo 38 della legge 448/2001 nella parte in cui non concede l’incremento al milione agli invalidi civili totali aventi meno di 60 anni. Secondo la Corte si tratta di una norma discriminatoria in quanto riconosce l’incremento ai normodati titolari di assegno (o pensione) sociale al raggiungimento del 70° anno di età consentendo loro di raggiungere un indennizzo di oltre 600 euro mensili, mentre lascia “una pensione di inabilità pari a poco più della metà ai soggetti totalmente inabili di età compresa fra 18 e 59 anni che si trovino per di più in condizioni di gravissima disabilità”.
Per tali motivi la Corte d’Appello ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 1, della legge 30 marzo 1971, n. 118 di conversione del decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5 nella parte in cui attribuisce al soggetto totalmente inabile, affetto da gravissima disabilità e privo di ogni residua capacità lavorativa, una pensione di inabilità di importo, pari nell’anno 2018 ad euro 282,55 e nell’anno 2019 ad euro 285,66, insufficiente a garantire il soddisfacimento delle minime esigenze vitali, in relazione agli articoli 3, 38, comma 1, 10, comma 1, e 117, comma 1, della Costituzione. Nonché la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 4, legge 28 dicembre 2001, n. 448, nella parte in cui subordina il diritto degli invalidi civili totali, affetti da gravissima disabilità e privi di ogni residua capacità lavorativa, all’incremento previsto dal comma 1 al raggiungimento del requisito anagrafico del 60° anno di età, in relazione agli articoli 3 e 38, comma 1, della Costituzione.
Testo completo dell’ordinanza n. 240/2019
Fonte: PensioniOggi.it
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