
Interessante sentenza della Corte di Cassazione, n. 10869 del 23 aprile 2021, che ha ritenuto illegittimo il licenziamento di una lavoratrice tornata al lavoro dopo avere goduto di un periodo di congedo per assistere la madre disabile. Il licenziamento è stato considerato in frode alla legge e quindi illegittimo poiché motivato con le stesse ragioni poste a base di una precedente procedura di licenziamento collettivo.
Il Caso
La Corte d’appello di Roma aveva rigettato il ricorso promosso della società datrice di lavoro avverso la sentenza di primo grado che aveva accertato l’illegittimità, in quanto negozio in frode alla legge, del licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo alla dipendente al rientro dal congedo straordinario.
Nello specifico, i Giudici del merito avevano accertato il carattere fraudolento del licenziamento a causa dell’identità di ragioni poste a base sia di un precedente licenziamento collettivo (che aveva coinvolto alcune decine di lavoratori) sia di quello individuale per giustificato motivo oggettivo della lavoratrice (nello specifico per soppressione del posto di lavoro), rientrata dal congedo straordinario poco dopo l’esaurimento della procedura di mobilità.
Per di più, la società datrice di lavoro si era resa colpevole di avere sottratto i cd. “lungo-assenti” (come la lavoratrice in congedo straordinario per assistere la madre disabile) alla procedura di mobilità salvo poi licenziare alcuni di loro quando erano tornati al lavoro.
Poiché la società datrice di lavoro aveva ritenuto ingiusta la sentenza d’appello che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento, proponeva ricorso in Cassazione lamentando l’erroneità della decisione dei primi Giudici che, a suo avviso, non avevano verificato le ragioni a fondamento del licenziamento individuale che non risultava vietato da nessuna norma di legge ed era stato in ogni caso intimato solo successivamente alla chiusura della procedura di licenziamento collettivo.
Motivi della decisione
Nel respingere il ricorso della società datrice di lavoro, la Corte di Cassazione ha prima di tutto ricordato che, nell’ambito di una procedura di mobilità, non è concesso al datore di lavoro tornare sulle scelte già effettuate quanto al numero, alla collocazione aziendale ed ai profili professionali dei lavoratori in esubero, ovvero ai criteri di scelta dei singoli lavoratori da allontanare, mediante ulteriori e successivi licenziamenti individuali la cui legittimità è subordinata alla individuazione di situazioni di fatto diverse da quelle poste a base del licenziamento collettivo.
Da ciò deriva che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo ordinato per gli stessi motivi già addotti a fondamento di un precedente licenziamento collettivo concretizza uno schema fraudolento ai sensi dell’art. 1344 c.c. (Contratto in frode alla legge – Si reputa altresì illecita la causa quando il contratto costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa).
La Corte ricorda che la particolarità del contratto in frode alla legge sta nel fatto che gli stipulanti raggiungono, tramite gli accordi contrattuali, lo stesso risultato proibito dalla legge con la conseguenza che, sebbene il mezzo utilizzato sia lecito, è invece illecito il risultato che attraverso l’abuso del mezzo e la distorsione della sua funzione ordinaria si vuole in concreto realizzare.
In modo analogo si era già espressa precedentemente la Cassazione evidenziando come ulteriori indici della volontà di voler eludere la normativa limitativa dei licenziamenti siano la mancata ottemperanza del datore all’ordine giudiziale di reintegra nonché la prossimità temporale del licenziamento collettivo e di quello individuale fondati sulle stesse motivazioni (Cass. 26 settembre 2018, n. 23042).
Contrariamente, se un licenziamento collettivo è stato dichiarato inefficace per un vizio procedurale, il datore di lavoro potrebbe procedere ad un nuovo licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, basato sugli stessi motivi sostanziali del precedente recesso, a condizione che ne sussistano i requisiti, risolvendosi tale rinnovazione nel compimento di un negozio diverso dal precedente (Cass. 2 novembre 2015, n. 22357).
Va tenuto, in ogni caso, ben presente che sebbene sia prospettabile, in via generale, la legittimità del licenziamento individuale di un lavoratore in congedo straordinario per la cura di un parente, il licenziamento rimarrebbe in ogni caso sospeso sino al suo rientro in servizio!
In tal senso, si legge nel testo della sentenza in commento, è infatti una decisione della Cassazione per la quale il diritto alla conservazione del posto di lavoro del lavoratore collocato in congedo straordinario ex art. 42, D.Lgs. n. 151/2001, per la necessità di prestare assistenza ad un familiare con handicap grave, pone un divieto al licenziamento fondato sull’utilizzo del congedo straordinario ed è diretto a garantire al lavoratore la certezza di un trattamento economico e di sostegno per il periodo di assistenza, analogamente a quanto avviene per la malattia, con la conseguenza che il licenziamento intimato al lavoratore per ogni altra causa diversa e legittima, durante la fruizione del congedo, è inefficace fino al termine dello stesso (Cass. 25 febbraio 2019, n. 5425).
Nella giurisprudenza di legittimità e di merito si ritrovano numerosi precedenti in tema di nullità del licenziamento per frode alla legge.
Ad esempio, in tema di licenziamento collettivo, qualora l’azienda avvii la procedura di riduzione del personale presso una unità produttiva pochi giorni dopo il trasferimento presso di essa di un lavoratore reintegrato in via giudiziale, in precedenza adibito ad una diversa sede, è sicuramente configurabile la nullità del licenziamento di tale lavoratore (Cass. 17 dicembre 2020, n. 29007).
Alla stessa maniera, la scissione societaria in frode alla legge determina la nullità dei licenziamenti intimati per giustificato motivo oggettivo se vi è collegamento negoziale tra l’operazione societaria ed i plurimi licenziamenti datoriali, perché in tal modo viene elusa la normativa sui licenziamenti collettivi; nel caso in esame la frode era stata ravvisata sul fatto che, pur dopo la scissione societaria, tutti i dipendenti continuavano a lavorare per il medesimo soggetto, nei medesimi luoghi e per la medesima commessa (Cass. 26 luglio 2018, 19863).
Al contrario, non è stato ritenuto in frode alla legge, né concluso per un motivo illecito, il contratto di cessione di ramo d’azienda che, lungi dal tendere alla conservazione dell’azienda, si realizzi in condizioni e con modalità tali da renderne ragionevole la dissoluzione in quanto la validità della cessione non è condizionata alla prognosi favorevole alla continuazione dell’attività produttiva e, di conseguenza, all’onere del cedente di verificare le capacità e potenzialità imprenditoriali del cessionario.
In conclusione, la Cassazione con la sentenza odierna ha definitivamente rigettato il ricorso della società datrice di lavoro contro la decisione della Corte di Appello di Roma, confermando la reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro.
Di seguito il testo integrale della sentenza della Corte di Cassazione, n. 10869 del 23 aprile 2021:
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 04-11-2020) 23-04-2021, n. 10869
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 27217/2018 proposto da:
DEXIA CREDIOP S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA QUATTRO FONTANE 20, presso lo studio degli avvocati MATTEO FUSILLO, e SAVERIO
SCHIAVONE, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 44, presso lo studio degli avvocati
MATTIA PERSIANI, e VALERIO MAIO, che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3156/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 20/07/2018 R.G.N.
992//2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/11/2020 dal Consigliere Dott. ADRIANO
PIERGIOVANNI PATTI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha
concluso per l’inammissibilità in subordine rigetto;
udito l’Avvocato MATTEO FUSILLO;
udito l’Avvocato VALERIO MAIO.
Svolgimento del processo
Con sentenza 20 luglio 2018, la Corte d’appello di Roma rigettava il reclamo proposto da Dexia Crediop
s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che, in esito a procedimento con rito Fornero, aveva accertato
l’illegittimità, in quanto negozio in frode alla legge, del licenziamento intimato il 16 ottobre 2015 (al rientro
dal congedo straordinario richiesto il 30 marzo 2015 per assistere la madre disabile) alla dipendente G.A.,
addetta con qualifica di quadro direttivo alla funzione Credit Structuring nell’ambito della direzione Project
e Public Structuring, per giustificato motivo oggettivo.
Esso era stato, infatti, individuato nelle stesse ragioni (conseguenti alla decisione 28 dicembre 2012 della
Commissione Europea ed alla necessità di fronteggiare la crisi finanziaria) poste alla base della procedura di
licenziamento collettivo, avviata con lettera 18 dicembre 2014 per la risoluzione del rapporto di lavoro per
61 dipendenti (poi ridotti a 44 a seguito di accordo sindacale del 18 marzo 2015) e conclusa il 18 settembre
2015, sulla sola base di esodi volontari e risoluzioni concordate incentivati, senza ricorso ai criteri prescritti
dalla L. n. 223 del 1991, art. 5, da adottare in caso di insufficienza delle soluzioni concordate.
A motivo della decisione, la Corte territoriale condivideva la nullità per negozio in frode alla legge ritenuta
dal Tribunale in sede di opposizione, per l’identità di ragioni a base del licenziamento collettivo e
individuale della lavoratrice, non appena rientrata dal congedo straordinario, per giustificato motivo
oggettivo temporalmente prossimo all’esaurimento del primo, in difetto di prova dell’esclusione dalla
procedura collettiva del personale di lunga assenza (neppure la predetta essendo tale al momento di avvio,
ma soltanto durante il suo corso e ancora alla sua conclusione).
Con atto notificato il 18 settembre 2018, la società datrice ricorreva per cassazione con tre motivi, cui la
lavoratrice resisteva con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1344 c.c., L. n. 223 del
1991, artt. 4 e 24, L. n. 604 del 1966, art. 3, art. 41 Cost., per avere la Corte territoriale ritenuto in frode alla
legge il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato alla lavoratrice per le stesse ragioni del
licenziamento collettivo, senza verificare le ragioni a fondamento del licenziamento individuale nè alcuna
norma che lo vietasse, al di fuori del requisito numerico/temporale prescritto dalla L. n. 223 del
1991, art. 24, comma 1 (con la previsione di almeno cinque licenziamenti nell’arco temporale di centoventi
giorni riconducibili allo stesso ambito di impresa), per l’intimazione del secondo (il 16 ottobre 2015) ad
avvenuta chiusura della procedura collettiva (il 18 settembre 2015) e pertanto legittimo, in difetto di indici
sintomatici di elusione di norme imperative.
2. Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1344 c.c., L. n. 223 del
1991, artt. 4 e 24, L. n. 604 del 1966, art. 3, art. 41 Cost., per avere la Corte territoriale erroneamente
qualificato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato come in frode alla legge, sulla sola
base della sua prossimità temporale alla conclusione del licenziamento collettivo, senza alcuna prova di una
preordinazione nè di raggiri o simili condotte, con illegittima compressione della libertà di iniziativa
economica, costituzionalmente garantita.
3. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1344 c.c., L. n. 223 del
1991, artt. 4 e 24, artt. 3 e 41 Cost., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto il licenziamento
per giustificato motivo oggettivo intimato in frode alla legge, per la sottrazione dei cd. lungo-assenti, tra i
quali la lavoratrice, alla procedura collettiva (in realtà semplicemente non computati ai fini della
determinazione degli esuberi), salvo poi licenziarne alcuni al rientro; pure assunto come discriminatorio nei
confronti della lavoratrice medesima, non avendo altre colleghe parimenti lungo-assenti subito eguale
sorte al rientro, dopo la conclusione della procedura collettiva.
4. Essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati.
5. In via preliminare, deve essere esclusa la configurabilità della violazione di legge denunciata, ricorrendo
la deduzione di un vizio di sussunzione, ossia di erronea ricognizione, da parte del provvedimento
impugnato, della fattispecie astratta recata da una previsione normativa, implicante un problema
interpretativo della stessa, nè di falsa applicazione della legge, che consiste nella sussunzione della
fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice, perchè la fattispecie astratta da essa
prevista non è idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta,
conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione (Cass. 30 aprile 2018, n.
10320; Cass. 25 settembre 2019, n. 23851).
5.1. Nel caso di specie, si tratta piuttosto dell’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie
concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla
tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto
del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 5 febbraio
2019, n. 3340), ovviamente nei limiti del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qui non
ricorrente.
5.2. Posto che non è consentito al datore di lavoro tornare sulle scelte compiute quanto al numero, alla
collocazione aziendale ed ai profili professionali dei lavoratori in esubero, ovvero ai criteri di scelta dei
singoli lavoratori da estromettere, attraverso ulteriori e successivi licenziamenti individuali la cui legittimità
è subordinata alla individuazione di situazioni di fatto diverse da quelle poste a base del licenziamento
collettivo (Cass. 16 gennaio 2020, n. 808);
il licenziamento per giustificato motivo oggettivo disposto (nella specie, per soppressione della posizione
lavorativa) per gli stessi motivi già addotti a fondamento di un precedente licenziamento collettivo, a meno
che non sia risultato nullo nè inefficace (potendo il datore di lavoro procedere ad esso, purchè ne
sussistano i requisiti, risolvendosi tale rinnovazione nel compimento di un negozio diverso dal precedente,
che esula dallo schema dell’art. 1423 c.c., che è norma diretta ad impedire la sanatoria di un negozio nullo
con effetti ex tunc e non a comprimere la libertà delle parti di reiterare la manifestazione della propria
autonomia negoziale: Cass. 2 novembre 2015, n. 22357), realizza uno schema fraudolento ai sensi dell’art.
1344 c.c. (Cass. 26 settembre 2018, n. 23042).
5.3. Come noto, la peculiarità del contratto in frode alla legge, regolato dall’art. 1344 c.c., consiste nel fatto
che gli stipulanti raggiungono, attraverso gli accordi contrattuali, il medesimo risultato vietato dalla legge:
con la conseguenza che, nonostante il mezzo impiegato sia lecito, è illecito il risultato che attraverso l’abuso
del mezzo e la distorsione della sua funzione ordinaria si vuole in concreto realizzare (Cass. 26 gennaio
2010, n. 1523).
In particolare, è stato ritenuto che la scissione societaria in frode alla legge determini la nullità dei
licenziamenti intimati per giustificato motivo oggettivo qualora vi sia un collegamento negoziale tra
l’operazione societaria e i plurimi recessi datoriali, perchè in tal modo viene elusa la normativa sui
licenziamenti collettivi (Cass. 26 luglio 2018, n. 19863).
5.4. Inoltre, la verifica di ricorrenza della frode alla legge, che si realizza ove si manifesti una divergenza fra
la causa tipica dell’atto negoziale e la determinazione causale del suo autore indirizzato alla elusione di una
norma imperativa, è rimessa al giudice di merito, la cui valutazione è incensurabile in cassazione ove
correttamente ed adeguatamente motivata (Cass. 7 febbraio 2008, n. 2874; Cass. 26 settembre 2018, n.
23042): come appunto nel caso di specie, per la valutazione della Corte territoriale, a motivo dell’identità
delle ragioni dei due licenziamenti e della loro prossimità temporale (argomentata dal primo capoverso
della parte motiva, a pg. 5 al penultimo capoverso di pg. 6 della sentenza).
5.5. E’ poi priva di decisività la questione relativa alle posizioni dei lavoratori c.d. lungo assenti, in quanto
non esclusi dal computo ai fini della determinazione degli esuberi, in assenza di una specifica indicazione
nella comunicazione di avvio della procedura, ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3 (in specifico
riferimento al “numero… collocazione aziendale e… profili professionali del personale eccedente, nonchè
del personale abitualmente impiegato”), nè nell’accordo sindacale del 18 marzo 2015 computati e non già
sottratti, anzi in essa specificamente inclusi (per le argomentate ragioni esposte dal primo periodo di pg. 8
al primo di pg. 9 della sentenza); pure essendo stata esplicitamente ravvisata dalla Corte territoriale
l’irrilevanza in proposito del contenuto del piano di impresa 2014/2015 in quanto atto interno alla
procedura (al terz’ultimo capoverso di pg. 8 della sentenza).
5.6. Infine, la Corte capitolina non ha operato alcun accertamento in ordine alla natura discriminatoria del
licenziamento della lavoratrice, in ogni caso assorbito dall’accertata natura di negozio in frode alla legge,
non ricavabile dal passaggio meramente illustrativo della doglianza della lavoratrice, “tra l’altro”, della
diversa sorte subita rispetto a quella di altre colleghe (all’ultimo capoverso di pg. 6 della sentenza).
6. Dalle superiori argomentazioni discende il rigetto del ricorso, con regolazione delle spese secondo il
regime di soccombenza e distrazione ai difensori antistatari, secondo la loro richiesta e raddoppio del
contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle
indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese
del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre
rimborso per spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di legge, con distrazione ai difensori
antistatari.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 4 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2021
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