Licenziamento del lavoratore disabile: obbligo di adottare i c.d. accomodamenti ragionevoli (Cass. 6497/2021)

Licenziamento lavoratore disabile accomodamenti ragionevoli

La Cassazione, Sez. Lav., con sentenza n. 6497 del 9 marzo 2021, si è pronunciata sul licenziamento del lavoratore disabile e l’obbligo in capo al datore di lavoro di adottare i cd. accomodamenti ragionevoli.

Il giudizio verte sul licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore disabile fornendo indicazioni in merito alla nozione di “accomodamento ragionevole” e sulla configurabilità di “onere sproporzionato o eccessivo” per l’impresa.

Il caso

La Corte di Appello di Milano aveva confermato la pronuncia del giudice primo grado nella parte in cui aveva ritenuto illegittimo il licenziamento intimato a Tizio dalla Società X Autolinee per sopravvenuta inidoneità fisica alla mansione e dal punto di vista della tutela applicabile, aveva condannato la società a reintegrare il lavoratore ex art. 18, co. 4, l. n.. 300/1970, nonché a corrispondergli a titolo risarcitorio le retribuzioni globali di fatto maturate dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione.

La Corte ha ritenuto sussistere, in capo al datore di lavoro, l’obbligo generale di adottare tutte quelle misure (accomodamenti ragionevoli) atte ad evitare il licenziamento, anche quando queste gravino sull’organizzazione dell’azienda, salvo il limite dell’eventuale sproporzione degli oneri a carico dell’impresa.

In ragione di ciò la Corte d’Appello aveva approvato la valutazione effettuata dal Tribunale, argomentando che non è sufficiente che la società X Autolinee abbia provato che in biglietteria vi fossero lavoratori con profilo professionale superiore a quello posseduto Tizio  e che l’organigramma non prevedesse ulteriori addetti in quell’ufficio, ma l’azienda avrebbe dovuto provare che la destinazione del lavoratore portatore di handicap in tale ufficio avrebbe imposto un onere finanziario sproporzionato o comunque eccessivo anche con riferimento alla formazione professionale. Secondo la Corte d’Appello il datore di lavoro, invece, si era limitato ad affermare l’impossibilità del “repêchage” del dipendente fisicamente inidoneo secondo gli usuali criteri vigenti in tema di giustificato motivo oggettivo per soppressione delle mansioni. Lo stesso discorso vale in rapporto al possibile reimpiego del lavoratore in altre mansioni. Infine, la Corte ha aggiunto che il fatto che l’azienda non si fosse posto il problema di trovare ragionevoli situazioni per ricollocare il dipendente emergeva chiaramente dalla deposizione del medico competente, il quale, sentito come testimone, aveva dichiarato di non essere mai stato incaricato dall’azienda di esprimere una valutazione in merito ad altre possibili mansioni cui adibire il lavoratore con disabilità.

Contro tale sentenza proponeva ricorso in Cassazione la società X Autolinee.

La sentenza

La Cassazione è pervenuta alla sentenza facendo un excursus normativo che parte dalla legge 68/99 (legge sul collocamento mirato) fino a investire la normativa sovranazionale con la “Convenzione delle Sezioni Unite sui diritti delle persone con disabilità” e quella europea con la direttiva 2000/78/CE sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

Dunque, la Corte è giunta a statuire che “in tema di licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore, derivante a una condizione di handicap, sussiste l’obbligo della previa verifica, a carico del datore di lavoro, della possibilità di adattamenti organizzativi ragionevoli nei luoghi di lavoro ai fini della legittimità del recesso”, secondo una interpretazione conforme agli obiettivi della direttiva 2000/78/CE.

Gli ermellini ricordano che la Corte di Giustizia statuisce che il concetto di “soluzioni ragionevoli” deve essere inteso nel senso che si riferisce all’eliminazione delle barriere di diversa natura che ostacolano la piena ed effettiva partecipazione dei disabili alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori

La Cassazione ha poi ribadito che tali “adattamenti organizzativi’, debbano essere adottati “secondo il parametro (e con il limite) della “ragionevolezza”. Occorrerà quindi soppesare gli interessi giuridicamente rilevanti delle parti coinvolte: l’interesse del disabile al mantenimento di un lavoro confacente con il suo stato fisico e psichico, in una situazione di oggettiva ed incolpevole difficoltà; poi l’interesse del datore a garantirsi comunque una prestazione lavorativa utile per l’impresa, tenuto conto che l’art. 23 Cost. vieta prestazioni assistenziali, anche a carico del datore di lavoro, se non previste per legge (Cass. SS.UU. n. 7755/1998 cit.) e che la stessa direttiva 2000/78/CE, al suo considerando 17, “non prescrive … il mantenimento dell’occupazione … di un individuo non competente, non capace o non disponibile ad effettuare le funzioni essenziali del lavoro in questione”; non può, infine, aprioristicamente escludersi che la modifica organizzativa coinvolga, in maniera diretta o indiretta, altri lavoratori, sicché ,in tal caso, fermo il limite non valicabile del pregiudizio a situazioni  soggettive che assumano la consistenza di diritti soggettivi altrui, occorrerà valutare comparativamente anche l’interesse di costoro.

All’esito di questo complessivo apprezzamento, potrà dirsi “ragionevole” ogni soluzione organizzativa praticabile che miri a salvaguardare il posto di lavoro del disabile in un’attività che sia utile per l’azienda e che imponga all’imprenditore, oltre che al personale eventualmente coinvolto, un sacrificio che non ecceda i limiti di una tollerabilità considerata accettabile secondo “la comune valutazione sociale.

Così, per le persone assunte come invalidi ai fini del collocamento obbligatorio, nel caso di aggravamento delle condizioni di salute, il rapporto di lavoro può essere risolto solo nel caso in cui, “anche attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro, la commissione integrata di cui all’art. 4 della I. n. 104/92 “accerti la definitiva impossibilità di reinserire il disabile all’interno dell’azienda” (art. 10, co. 3, I. n.. 68 d.el 1999).

Per i lavoratori che invece divengono inabili allo svolgimento delle proprie mansioni in conseguenza di infortunio o malattia, stabilisce che tali eventi “non costituiscono giustificato motivo di licenziamento nel caso in cui essi possano essere adibiti a mansioni equivalenti ovvero, in mancanza, a mansioni inferiori”.

Nel caso in esame il licenziamento del lavoratore disabile è stato ritenuto illegittimo dalla Corte di Cassazione per i seguenti motivi.

Il datore di lavoro si era limitato ad affermare l’impossibilità del repêchage del dipendente fisicamente inidoneo secondo gli usuali criteri vigenti in tema di giustificato motivo oggettivo per soppressione delle mansioni. Nello specifico la società, secondo la Corte, aveva solo provato che nella biglietteria l’organigramma non prevedesse ulteriori addetti e analogamente aveva fatto il possibile per il reimpiego del lavoratore nelle mansioni di lavaggio autobus o in quelle di verificatore in affiancamento ad altro collega; inoltre, nessuna dimostrazione era stata fornita che la destinazione alternativa del lavoratore portatore di handicap avrebbe imposto un onere finanziario sproporzionato o comunque eccessivo anche con riferimento alla formazione professionale.

Per quanto detto, non era sufficiente per la società allegare e provare che non fossero presenti in azienda posti disponibili in cui ricollocare il lavoratore, sovrapponendo la dimostrazione circa l’impossibilità di adibire Tizio a mansioni equivalenti o inferiori compatibili con il suo stato di salute con il distinto onere di ricercare altre soluzioni ragionevoli, né tanto meno era sufficiente trincerarsi dietro la mera affermazione che di accomodamenti praticabili non ve ne fossero, lamentando che il lavoratore non ne aveva individuati.

Infine, parte datoriale aveva insistito che l’azienda era in condizione di pieno organico e che non vi erano posizioni scoperte in organigramma, come se si discutesse solo di una ordinaria violazione dell’obbligo di repêchage, mentre non evidenzia alcun atto o operazione strumentale rispetto all’avveramento dell’accomodamento ragionevole che potesse indurre nei giudici del merito il convincimento che fosse stato compiuto quello sforzo diligente ed esigibile per trovare una soluzione organizzativa che evitasse il recesso.

Testo integrale sentenza Cassazione, sez. lav, n. 6497 del 09 marzo 2021

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