Combattere la povertà utilizzando i fondi riservati alle pensioni d’oro. E’ questa la proposta di legge presentata dal presidente dell’Inps Tito Boeri, ma ritenuta inattuabile dal Governo Renzi, che per il momento ha bocciato l’dea di istituire un reddito minimo di 500 euro per i nuclei familiari in difficoltà, con la presenza di almeno un ultra 55enne. Il primo dei 16 articoli del pacchetto “Sostegno di Inclusione attiva”, così come nominato dall’ente previdenziale, conta di individuare le risorse, circa 1,2 miliardi di euro, tagliando quasi 250mila maxi pensioni e 4000 vitalizi in tutto il paese, a favore di circa 567mila cittadini. Si andrebbe dunque a prelevare da coloro che percepiscono redditi superiori a 37mila euro lordi l’anno.
Il piano, pensato non per far cassa ma per equità, come specificato dal suo ideatore, dovrebbe garantire pari diritti economici tra le generazioni e contribuirebbe a ridurre la povertà. Nello specifico, il sistema di protezione sociale è indirizzato a quella fascia sociale e di età che in questi anni ha maggiormente avvertito gli effetti negativi della crisi. Stando alla proposta, l’assegno varia a seconda delle condizioni dei beneficiari e ha lo scopo di riportare la famiglia al di sopra della soglia di povertà. Nel caso di una famiglia composta da un solo membro, chi ha un reddito inferiore a 500 euro al mese, è ritenuto sotto la soglia di povertà e quindi ha diritto ad una integrazione mensile. Si tenga conto che il reddito di riferimento è quello calcolato con l’Isee, che si basa sulla situazione patrimoniale complessiva del beneficiario (ovvero sui risparmi e sugli immobili) e non solo sul guadagno mensile.
La percezione dell’indennità comporta anche dei doveri: tutti i componenti di una famiglia che ne beneficia, hanno infatti l’obbligo di presentarsi in un Centro per l’Impiego e fornire disponibilità immediata a un percorso di inserimento lavorativo. Obbligo che non vale per gli studenti e i militari di leva, per chi svolge il servizio civile, per i disabili e le donne incinte.
La proposta di riforma del sistema previdenziale e assistenziale, avanzata lo scorso giugno al cospetto dell’esecutivo e resa nota negli ultimi giorni, rispetto ai 67 anni e 7 mesi previsti dalla Legge Fornero, prevede anche la possibilità di andare in pensione a partire dai 63 anni e sette mesi, in presenza di determinati requisiti, ossia 20 anni di contributi e assegno mensile non inferiore ai 1.500 euro. Questo sarebbe un modo per introdurre la flessibilità nel mondo pensionistico, a fronte di una riduzione dell’assegno che non andrebbe oltre il 10%.
Nelle intenzioni dell’Inps, sempre in tema di pensioni, c’è anche l’abolizione dei vantaggi per i dirigenti sindacali del settore pubblico e il ricongiungimento gratuito.
Palazzo Chigi sembra però frenare: secondo il premier Matteo Renzi, la ricetta dell’Inps è difficile da attuare sia dal punto di vista politico che giuridico. Il Ministero del lavoro, dunque, rinvia tutto a data da destinarsi per evitare di mettere le mani in tasca a numerosi pensionati.
Tuttavia il dialogo con l’Inps andrà avanti e nel 2016 si tornerà a discutere dell’ipotesi di flessibilità in ingresso e in uscita dal mondo del lavoro.
Salve la mia mamma il prossimo anno a novembre compie 63anni ha 26 anni lavorativi potrà andare in pensione?