Cassazione: in caso di revoca della prestazione assistenziale l’oggetto del giudizio è l’esistenza del diritto alla prestazione

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In caso di revoca della prestazione in atto il giudice deve solo accertare l’esistenza del diritto alla prestazione, non anche la legittimità dell’atto di revoca.

Con la sentenza n. 22319 del 3 novembre 2016 la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, è intervenuta appunto in tema di revoca di una prestazione assistenziale sancendo che in tal caso il giudice investito del caso deve avere riguardo solo ad accertare l’esistenza del diritto a tale prestazione, prescindendo dall’esaminare se la revoca era legittima o meno.

Nel caso in esame il ricorrente ha chiesto con ricorso al Giudice che fosse riconosciuto il diritto all’indennità di accompagnamento con decorrenza dal 1/4/2008, ossia dalla data in cui l’INPS aveva disposto la sospensione dell’erogazione della provvidenza per il venir meno dei requisiti sanitari.

Il Tribunale rigettava la domanda e la Corte d’appello l’accoglieva solo parzialmente. Quindi, il ricorrente presentava ricorso in Cassazione facendo notare il mancato rispetto da parte dell’Inps dell’iter procedimentale previsto dalla legge ai fini della sospensione e della revoca della prestazione assistenziale. Il giudice, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto motivare in ordine alla legittimità o meno dell’attività amministrativa. Inoltre, sempre secondo il ricorrente il provvedimento di sospensione dell’erogazione della prestazione assistenziale e la successiva revoca sono legittimi solo se conseguenti ad un accertamento di verifica condotto nel rispetto dell’iter procedimentale previsto dalla legge, a seguito di un giudizio medico-legale espresso dalla competente commissione medica di verifica e in presenza dei componenti richiesti dalla legge. Nel caso in esame, invece, la sospensione e la successiva revoca dell’accompagnamento era derivato in base ad una relazione di consulenza disposta da un pubblico ministero nell’ambito di un giudizio penale conclusosi peraltro con l’archiviazione e senza che l’interessato fosse sottoposto a visita di verifica da parte delle competenti commissioni Inps.
Secondo la Corte di Cassazione costituisce ormai principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui, anche in caso di revoca di una prestazione in atto, oggetto della controversia non è la legittimità dell’atto di revoca, ma la esistenza del diritto stesso alla prestazione.

In particolare si è affermato che la domanda di ripristino della prestazione assistenziale, così come la domanda riguardante il diritto di ottenere per la prima volta prestazioni negate in sede amministrativa, non comporta un’impugnativa del provvedimento amministrativo di revoca, ma riguarda il diritto del cittadino ad ottenere la tutela che la legge gli accorda. Di conseguenza, il giudice deve solo accertare se esista, o meno, il diritto alla prestazione, riscontrandone le condizioni di esistenza alla stregua dei requisiti richiesti dalla legge.

Inoltre, per completezza, si è chiarito che il giudice è libero di porre a fondamento della propria decisione le risultanze di un procedimento penale, utilizzando come fonti le prove raccolte e gli elementi di fatto acquisiti in tale giudizio, a condizione che il procedimento di formazione del proprio libero convincimento sia espresso nella motivazione della sentenza, mediante l’indicazione degli elementi di prova e delle circostanze sui quali esso si fonda, non bastando il generico richiamo alla pronuncia penale.

Nel caso di specie, secondo gli ermellini, i giudici d’appello hanno adeguatamente motivato il loro convincimento, illustrando le ragioni tecniche che hanno indotto il consulente tecnico del pubblico ministero ad escludere la sussistenza del requisito sanitario necessario per l’indennità di accompagnamento.

Inoltre rileva la Corte di Cassazione come la censura mossa dall’interessato alla sentenza di appello ha riguardato solo l’omesso esame da parte del giudice d’appello della questione inerente alla legittimità della procedura amministrativa seguita dall’Inps per sospendere e revocare la prestazione.

In definitiva, il ricorso dell’interessato è stato rigettato poiché, per le ragioni esposte, oggetto della controversia, in caso di revoca di una prestazione in atto, non è la legittimità dell’atto di revoca, ma la esistenza del diritto stesso alla prestazione.

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