AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO: consenso e rifiuto del beneficiario

AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO consenso del beneficiario

L’istituto dell’Amministrazione di sostegno  è entrato per la prima volta nell’ordinamento italiano con la legge n. 6 del 9 gennaio 2004.

La funzione dell’ADS è quella di tutelare le persone che si trovano nell’incapacità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi.

AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO: consenso e rifiuto del beneficiario

Fin dalla nascita di tale istituto è sorto il dubbio se il consenso del beneficiario sia presupposto indefettibile per l’applicazione della misura dell’ADS oppure se, al contrario, l’ADS possa essere disposta anche in mancanza di tale consenso.

A ben vedere, l’art 407, comma 2, c.c., statuisce che “il giudice tutelare deve sentire personalmente la persona cui il procedimento si riferisce…e deve tener conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa”.

Dalla lettura della norma si evince che essa attribuisce rilievo alla finalità di protezione della persona, attribuendo rilevanza ai suoi bisogni e alle sue richieste, solo se compatibili con i suoi interessi e con le sue esigenze di tutela.

Sulla questione è intervenuta anche la Corte Costituzionale che con ordinanza n. 4 del 19 gennaio 2007 ha chiarito come l’art 407, comma 2, c.c., “non esclude, ma anzi chiaramente attribuisce al giudice, anche il potere di non procedere alla nomina dell’amministratore di sostegno in presenza del dissenso dell’interessato, ove l’autorità giudiziaria ritenga detto dissenso giustificato e prevalente su ogni altra diversa considerazione…”.

Anche la Corte di Cassazione è intervenuta più volte sul tema affermando che prevale l’interesse alla protezione della persona sul dissenso o sul rifiuto del beneficiario rispetto all’applicazione della misura.

In particolare, nella pronuncia n. 22602 del 27 settembre 2017, la Cassazione dopo aver ricordato che le finalità della legge consiste nel “tutelare con la minore limitazione possibile della capacità d’agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana”, ha precisato che “la volontà contraria all’attivazione della misura di sostegno, ove provenga da una persona pienamente lucida (come accade quando la limitazione di autonomia è collegata ad un impedimento solo fisico) non può non essere tenuta in debita considerazione” e che, pertanto, “in tema di amministrazione di sostegno, nel caso in cui l’interessato sia persona pienamente lucida che rifiuti il consenso o, addirittura, si opponga alla nomina dell’amministratore, e la protezione sia già di fatto assicurata in via spontanea dai familiari o dal sistema di deleghe, il giudice non può imporre misure restrittive della sua libera determinazione…”

Diversamente, il giudice tutelare dovrà procedere all’attivazione della misura di protezione nell’ipotesi in cui il soggetto, pur pienamente lucido, rifiuti il consenso per una sorta di orgoglio ingiustificato, che lo renda restio anche ad accettare altre forme di protezione attivate dal sistema familiare o sociale.

La Corte ha, altresì, chiarito che l’ADS dovrà applicarsi nel caso in cui l’interessato “rifiuti il consenso o, addirittura, si opponga alla nomina dell’amministratore di sostegno, proprio a causa della patologia psichica da cui egli è afflitto…che lo rende inconsapevole del bisogno di essere aiutato..”

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