E’ legittimo il licenziamento del lavoratore disabile per superamento del periodo di comporto

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Il Tribunale di Vicenza, sezione lavoro, con sentenza del 26 aprile 2022, ha ritenuto legittimo il licenziamento comminato alla lavoratrice disabile per superamento del periodo di comporto nel cui computo erano stati compresi anche i giorni di assenza per malattia dovuta alla condizione di invalidità della ricorrente.

Legittimo il licenziamento della disabile per superamento del periodo di comporto

Il Giudice ha ritenuto che includere i giorni di malattia legati alla condizione di handicap ai fini del calcolo del periodo di comporto non concretizza una condotta discriminatoria da parte del datore di lavoro e che, all’opposto, la loro esclusione non integri quindi un “accomodamento ragionevole” esigibile dal datore stesso.

Tale decisione realizza un bilanciamento tra l’interesse della lavoratrice disabile al mantenimento di un posto di lavoro idoneo alle sue condizioni di salute e l’interesse del datore a garantirsi una prestazione lavorativa utile per l’impresa.

Il caso

La lavoratrice ricorrente propone opposizione ex art. 1, comma 47 della L. n. 92/2012 avverso l’ordinanza con la quale era stata respinta la sua domanda d’impugnazione del licenziamento disposto per superamento del periodo di comporto. Nello specifico, la ricorrente ha sostenuto che l’inclusione dei giorni di malattia legati a condizione di handicap all’interno del computo del periodo di comporto rappresentasse una discriminazione indiretta in considerazione alla maggiore facilità con cui una persona disabile si assenta dal lavoro a causa del proprio stato di salute rispetto agli altri lavoratori. In tale ottica, l’esclusione di tali giorni di malattia dal calcolo del comporto rientrerebbe nell’insieme degli accomodamenti ragionevoli che il datore di lavoro dovrebbe adottare; di conseguenza, secondo la ricorrente il licenziamento sarebbe da ritenersi discriminatorio proprio sulla scorta del D.Lgs. n. 216/2003 (attuativo della direttiva 2000/78/CE) che vieta ogni forma di discriminazione, diretta o indiretta, verso i lavoratori portatori di handicap e impone al datore di lavoro di adottare accomodamenti ragionevoli atti a garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori.

La sentenza

Il Giudice invece rigetta l’opposizione sulla scorta della disciplina comunitaria e nazionale che prevede una tutela del lavoratore disabile idonea a bilanciare il suo interesse al mantenimento di un lavoro adeguato alle sue condizioni di salute al contrapposto interesse del datore ad una prestazione lavorativa utile per l’impresa.

Inoltre, anche se si volesse supporre l’esistenza di un obbligo in capo al datore di eliminare dal comporto le assenze collegato allo stato di invalidità del dipendete, suddetto obbligo sarebbe esigibile solo ove il dipendete stesso avesse anticipatamente comunicato quali assenze siano riconducibili alla malattia invalidante, barrando nel certificato di malattia la corrispondente casella.

Secondo il Giudice, inoltre, il datore di lavoro aveva già posto in essere una serie di accomodamenti atti ad agevolare la ricorrente (come, ad esempio, l’adibizione a mansioni idonee al suo stato di salute), ragion per cui non può chiedersi al datore di lavoro anche di escludere dal periodo di comporto i giorni di assenza legati all’invalidità della lavoratrice. Altrimenti, si finirebbe per comprimere eccessivamente la possibilità per il datore di recedere dai contratti di lavoro sottoscritti con personale affetto da disabilità. In questo bilanciamento d’interessi risulta decisivo anche l’assunto per il quale le prestazioni “assistenziali” possono essere imposte ai privati solo mediante apposito provvedimento legislativo ai sensi dell’articolo 23 Cost.

Per giunta, il contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto prevedeva già l’esclusione ai fini del computo del periodo di comporto dei giorni di assenza dovuti a ricovero ospedaliero o determinati da patologie gravi che richiedano lo svolgimento di terapie salvavita o temporaneamente invalidanti. Tale previsione viene giudicata dal Giudice come adeguata e proporzionale ai fini di tutelare i contrapposti interessi del lavoratore disabile e del suo datore di lavoro, pertanto, non essendo quindi necessario provvedere ad ulteriori scomputi.

Pertanto, secondo la sentenza in commento, non è discriminatorio l’inclusione nel periodo di comporto di giorni di malattia legati alla condizione di disabilità della lavoratrice e il conseguente licenziamento per superamento del periodo di comporto è da ritenersi legittimo.

Tale sentenza si pone in contrasto con un diverso orientamento di giurisprudenza europea e nazionale che al contrario afferma come l’applicazione della medesima disciplina in tema di superamento del periodo di comporto a lavoratori disabili e normodotati costituisca una discriminazione indiretta poiché un lavoratore disabile è esposto al rischio ulteriore di assenze dovute a malattia collegata alla sua disabilità. Egli è soggetto a un maggiore rischio di accumulare giorni di assenza per malattia e, quindi, di raggiungere i limiti del c.d. comporto (cfr. Corte di Giustizia UE 18/1/2018, causa C-270/16; App. Roma 26/05/2021, n. 2194; Trib. Palermo, 01/04/2022, n. 1078). Dunque, costituisce discriminazione indiretta la mancata sottrazione dal calcolo del comporto dei giorni di malattia ascrivibili all’handicap del lavoratore (cfr. ex multis, Cass. 25/07/2019, n. 20204; App. Genova, 21/07/2021, n. 211; Trib. Mantova, 22/09/2021, n. 126; Trib. Verona 21/03/2021).

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