
Tra i soggetti legittimati a proporre il ricorso per la nomina dell’ADS vi sono anche i servizi sanitari e sociali.
Ai sensi dell’art 406, ultimo comma, c.c., “i responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona, ove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l’apertura del procedimento di amministrazione di sostegno, sono tenuti a proporre al giudice tutelare il ricorso di cui all’art 407 c.c. o a fornire comunque notizia al Pubblico Ministero”.
Soggetti del procedimento per la nomina di ADS: servizi sanitari e sociali
La norma pone quindi un vero e proprio obbligo giuridico in capo agli operatori che siano a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l’apertura dell’Amministratore di sostegno; obbligo da attuarsi, in via alternativa, attraverso la proposizione del ricorso oppure tramite la segnalazione al Pubblico Ministero e sanzionabile sia sul piano civilistico che penale.
La scelta tra le due modalità è rimessa alla discrezionalità dell’obbligato. Sicuramente laddove si ravvisano ragioni di urgenza si dovrà optare direttamente per la predisposizione del ricorso; mentre, laddove la situazione presenti maggiori margini di incertezza e in difetto di urgenza, il soggetto obbligato potrà limitarsi ad effettuare la segnalazione al Pubblico Ministero, rimettendo a quest’ultimo la valutazione in merito all’esperimento dell’azione.
Ci si è chiesti se obbligati all’esercizio dell’azione o alla segnalazione siano solo gli organi che hanno la rappresentanza esterna degli enti o se possa prescindersi da ogni riferimento a criteri gerarchici, ritenendo quindi che ogni singolo professionista o operatore sia investito del predetto dovere.
La ratio della norma dovrebbe essere quello di prevedere un obbligo in capo a tutti coloro che hanno una posizione di responsabilità verso una persona a loro affidata, nei cui confronti abbiano avviato o dirigano un programma terapeutico o di assistenza e di cui abbiano una conoscenza non superficiale e occasionale, ma approfondita.
Non sono però mancate posizioni in senso opposto, sia in dottrina che in giurisprudenza. Si segnala a tal proposito il decreto del Tribunale di Mantova del 20.01.2011 che ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla psichiatra curante del potenziale beneficiario della misura dato che “l’art 406 , comma 3, c.c., attribuisce la legittimazione a proporre il ricorso di cui all’art 404 c.c. unicamente ai responsabili dei servizi, ossia a quanti ne hanno la rappresentanza esterna, non anche ai singoli operatori, ai quali spetta unicamente il potere-dovere di dare notizia al PM o al responsabile della struttura…” (Trib. Varese, 16.06.2012).
Ci si è poi chiesti se la legittimazione a proporre il ricorso spetti solo ai servizi socio sanitari pubblici o anche a quelli privati. Si pensi ai centri diurni in regime di convenzione, ai centri socioeducativi, alle strutture residenziali private e agli operatori (medici, infermieri, OSS, educatori, psicologi) impegnati in questi ambiti. Anche in quest’ambito vi sono state opinioni difformi. La giurisprudenza prevalente tende ad escludere la legittimazione in capo agli enti di natura privatistica, anche per evitare condotte improprie o speculative. In particolare, il Tribunale di Varese (pronuncia del 16.06.2012) ha sottolineato come l’art 406 c.c. faccia riferimento unicamente ai servizi di tipo pubblico e non anche a società private che, seppur accreditate, non sono equiparabili né ai servizi territoriali, né ai responsabili dei servizi sanitari del SSN.
Un’ultima questione si è posta con riferimento al momento in cui vada presentato il ricorso da parte del servizio socio-sanitario, ossia se vada presentato nel momento in cui l’operatore ha in carico il potenziale beneficiario oppure se possa essere presentato anche nella fase successiva.
In proposito, il tribunale di Genova (pronuncia del 30.06.2007), in una vicenda in cui il ricorso era stato presentato da un medico responsabile di una struttura ospedaliera nei confronti di una donna psichiatrica, nella fase successiva alla dimissione della stessa dall’ospedale, aveva ritenuto irrilevante che il ricorso fosse stato presentato successivamente alle dimissioni. La pronuncia ha chiarito che “il fatto che il tenore letterale della disposizione si riferisca al tempo presente, non significa che il ricorso al tribunale non possa essere fatto in un secondo tempo rispetto alle avvenute dimissioni”, anche perché “tenuto conto dei tempi burocratici che la redazione di un ricorso inevitabilmente comporta, sarebbe assurdo che l’attivazione di un intervento volto a porre in essere una misura di protezione…potesse essere invalidata per il solo fatto di essere presentata successivamente al venir meno degli interventi di cura o di assistenza precedentemente posti in essere”.
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